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Leggere Zinberg nel 2020

Uno sguardo non mainstream sul consumo delle droghe.

Susanna Ronconi*

*Forum Droghe, traduttrice, e curatrice con Stefano Vecchio e Grazia Zuffa, della versione italiana

Ho incontrato Zinberg e il suo Drug, Set and  Setting a metà degli anni ’90 del secolo scorso, quando in Italia cominciavamo a inventare la Riduzione del danno, con le prime unità di strada, il coinvolgimento dei consumatori come peer, la centralità delle loro competenze nel limitare rischi e danni come ingrediente strategico del nostro approccio. Allora, se ci si voleva formare,  si trovava  poco o nulla di pubblicato in lingua italiana e si doveva ricorrere alla letteratura anglosassone. Ero fortunata, me la cavavo con la lingua, ma molti altri non avevano accesso a quanto si andava conoscendo, studiando e pubblicando, ed era un limite. Per questo, nel 1994, mi sono lanciata nella mia prima avventura di traduttrice  curando,  per l’ editrice  EGA, l’edizione italiana del libro di Pat O’Hare, Harm Reduction. E per questo,  oggi,  dopo 25 anni, ho deciso di  correre  la mia seconda avventura, grazie a un progetto editoriale di Forum Droghe, accolto di nuovo da EGA,  traducendo  Drug, Set and  Setting: per  facilitare chiunque abbia voglia di conoscere e  di adottare uno sguardo non mainstream.

Non mainstream, attraverso un libro che ha più di 30 anni? Sì, è così. Perché Zinberg fa parte di quei ricercatori che hanno indicato  una diversa prospettiva nella lettura del fenomeno del   consumo di droghe, diversa dai paradigmi– morale e disease – che erano dominanti negli anni ’70 del secolo scorso e che dominanti lo sono ancora oggi: non vi è nulla di più statico, irrazionale e paludoso delle politiche globali della war on drugs e dei loro presupposti teorici,  nulla di così pervicacemente sfuggente  a ogni razionale e fondata valutazione e cambiamento.  E allora sì, Zinberg è attuale, è un classico del pensiero critico sulle droghe che si basa su una ricerca che ha saputo e sa “uscire dal tunnel”, come direbbe Tom Decorte, delle profezie che si autoavverano e dei paradigmi che si autoconfermano, senza dirci mai nulla di davvero nuovo, senza offrirci mai una nuova, fruttuosa  prospettiva.

Zinberg ci dice che per capire il consumo di sostanze dobbiamo considerare tre fattori, le droghe, l’individuo (set) e il contesto (setting) e le interrelazioni tra loro. Dunque,  in prima battuta il suo sguardo ridimensiona il farmacocentrismo, allora e oggi imperante,  e “scopre” il contesto come fattore cruciale. Ma attenzione: il suo contributo non è un arricchimento fatto di un pugno di variabili che va ad aggiungersi a quelle tradizionali, ma è una diversa prospettiva: il set non equivale a una analisi della “personalità del consumatore” (mirabile, anzi, la sua polemica  con gli psicanalisti di allora), bensì le aspettative e le credenze del consumatore circa le droghe, che orientano il suo rapporto con il consumo e i suoi comportamenti; e il setting non è,come nella tradizione, parte dei fattori di rischio o viceversa di protezione soltanto, ma luogo dove nascono, si diffondono e si socializzano quelle norme sociali e quei rituali sociali che rappresentano l’elemento regolatore del consumo e lo rendono controllato. Cioè,  funzionale alla vita del consumatore. E’ questo che a noi manca, ancora oggi: la prospettiva che esiste una possibile regolazione sociale  anche delle droghe illegali,  così come esiste quella dell’alcool, sostanza non solo legale ma accompagnata da millenarie norme e rituali sociali, appunto. Il set e soprattutto il setting in Zinberg sono la base della teoria dell’apprendimento sociale del controllo, che è ciò che radicalmente  contesta  la linearità dello sviluppo della dipendenza cara alla teoria dell’addiction. E’ chiaro come questa prospettiva – che Zinberg basa sia sulla sua esperienza come terapeuta  che sul suo lavoro come ricercatore  che privilegia le parole, le esperienze e le interpretazioni dei consumatori – abbia aperto a scenari innovativi: di conoscenza (i modelli di consumo sono molto più interessanti della  prevalenza…),  di intervento (lavorare per il consumo controllato, il suo mantenimento e/o il suo ripristino oltre l’obiettivo unico dell’astinenza) e politici (un governo sociale più che penale dei fenomeni del consumo). Una rivoluzione, allora, che Zinberg pagò  con mille contestazioni e critiche, ma che ha prodotto nel tempo una generazione di ricercatori che sono per noi oggi riferimento cruciale (da Cohen a Decorte a Grund, per citarne tre  molto  noti in Italia).

Zinberg  conduce la sua ricerca ai tempi di quella che lui chiama “la rivoluzione delle droghe”,  negli  anni ’70, caratterizzata dall’esplosione dell’uso di massa, dalla normalizzazione del consumo soprattutto di marijuana e di allucinogeni, dallo sviluppo  di carriere di consumo compatibili e funzionali accanto a traiettorie segnate da un consumo problematico, le prime rese invisibili dalla ricerca mainstream di allora, le seconde erroneamente generalizzate. Anche per queste caratteristiche del contesto analizzato, il libro rimane attuale, se pensiamo a come normalizzazione dei consumi e produzione di  culture sociali del consumo  caratterizzano la nostra epoca.

Da  molti anni Zinberg orienta la mia idea e la mia pratica della Riduzione del danno: non ho mai simpatizzato con quanti vi vedevano “l’ultima spiaggia” per chi non voleva abbracciare l’astinenza e nemmeno con chi la limitava a un insieme di interventi specialistici. E’ molto  grazie a Zinberg  se ne ho fin dall’inizio visto la portata di paradigma, di una prospettiva complessiva e trasversale, guidata dall’accezione di consumo di droghe come di un comportamento umano  che si può apprendere, modificare, governare grazie a una cultura, a culture socialmente condivise. Ed è questo che ho cercato, in tanti anni di lavoro come formatrice, di comunicare a quante e quanti hanno lavorato, riflettuto e imparato  con me. Ma a un certo punto sono andata in  crisi: mi è parso che, nel lavoro di formazione,  quel drug-set-setting rischiasse una banalizzazione, la perdita del suo stesso potenziale di modello interpretativo. Un po’ come se potesse essere scambiato per il “bio-psico-sociale” del secondo modello medico, quello meno rozzo. Un rischio da evitare, assolutamente, pena la perdita della prospettiva più fruttuosa e promettente che connota tutta l’opera di Zinberg, quella dell’apprendimento sociale del controllo.   

Ecco allora la mia seconda avventura  di traduzione: per riandare alla fonte, alle sue parole, alla sua ricerca, al cuore della sua prospettiva. Adesso Zinberg è accessibile: leggetelo!