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Lavorare per il dialogo tra Rom e Gagé

Intervista a Gilberto Scali (Responsabile dell’Area Inclusione sociale e Minoranze di CAT Cooperativa Sociale)

Gilberto, lavori da tanto tempo con i gruppi familiari rom e per la popolazione rom. Quali sono le motivazioni e gli obiettivi che più hanno orientato il tuo lavoro in questi anni?

 Ho iniziato principalmente per curiosità. Mi colpiva in particolare leggere, percepire che la società maggioritaria considerasse in qualche modo impossibile instaurare un dialogo con i rom. Negli anni, insieme ai miei colleghi, abbiamo semplicemente cercato di aprire un dialogo tra la società maggioritaria e i gruppi familiari rom. Questo è stato in sintesi l’obiettivo principale di tutte le nostre attività. Il veicolo privilegiato per agire in questa direzione è risultato essere la scuola. Da una decina di anni si rilevano buoni, talvolta buonissimi, risultati ma il rischio dell’etichettamento, della discriminazione per alunni e famiglie rom rimane molto alto. Secondo il Pew research center, l’Italia è infatti il paese europeo dove l’intolleranza verso i rom è più diffusa (l’85 per cento degli intervistati ha espresso sentimenti negativi verso questa popolazione).

Tutti, o quasi tutti, sanno che la principale vittima dell’Olocausto è stata la popolazione ebraica. Pochi invece sanno che nei lager nazisti furono sterminati tantissimi rom: puoi spiegarci brevemente i numeri e le ragioni del loro sterminio?

Il fatto che pochi conoscano il significato della parola Porrajmos sta a indicare quanto la memoria dello sterminio dei rom e dei sinti, durante la seconda guerra mondiale, fatichi a trovare ascolto presso chi rom e sinti non lo è. Porrajmos in romanes, la lingua dei rom e dei sinti, significa divoramento o devastazione ed è l’equivalente di termini molto più diffusi come Olocausto o Shoah. Nei lager nazisti sono morti circa 500.000 rom e sinti i quali sono stati condotti allo sterminio in quanto definiti dal Regime nazista come geneticamente asociali. Vittime di un pregiudizio che precedeva di gran lunga l’avvento di Hitler. Anche oggi, rom e sinti risultano generalmente per i gagé (persona non rom) come elementi disfunzionali da correggere, rieducare, eliminare culturalmente o fisicamente. Con chi ce la prenderemmo altrimenti? Chi meglio degli zingari rappresenta lo “straniero interno”?  

Ci puoi raccontare un episodio, un aneddoto legato al tuo lavoro con/per i rom in cui ti sei sentito spiazzato o hai dovuto rivedere quello che facevi? 

 Nel corso degli anni ho stabilito delle relazioni per me significative con alcune famiglie rom fiorentine. Per sentirmi libero in questa relazione ho dovuto lavorare molto, col supporto dei colleghi, su di me. Credo infatti che ogni gagè abbia, quasi nel DNA, elementi antiziganici. Molti dei più importanti studiosi rimarcano come l’antiziganismo permanga come uno degli elementi cardine delle società maggioritarie causa la mancanza di un’elaborazione storica, culturale e sociale dei rapporti tra i rom e i gagé. 

 Così capita spesso che gli operatori sociali, su mandato delle stesse amministrazioni locali, si trovino a lavorare lungo una linea di confine incongruente. Da un lato operano col fine di eliminare o diminuire i fattori di discriminazione, dall’altro lo fanno all’interno di un meccanismo politico e sociale che riproduce le stesse forme di esclusione di questo popolo, così come avviene più o meno da 600 anni in Italia e in Europa. Tuttavia, i rom nei secoli si sono dimostrati resistenti o irriducibili a ogni tentativo assimilazionista, etnocida, omicida. Per cui, per tornare alla tua domanda, direi che, se si intende lavorare insieme ai gruppi rom e sinti, gli operatori sociali gagè dovrebbero utilizzare lo “spiazzamento” come metodologia quotidiana.

 



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